Rinaldo Ambrosia ha scritto per noi

La parete

eleborazione grafica dell'autore

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Tutto ciò che vuoi è lì, su quella parete, tra le tue mani e il tuo pensiero.

Dal sacchetto di magnesite prendi una manciata di polvere e la sfarini.

Cancelli l’umidità dalle tue mani.

La parete è ancora fredda.

I tuoi piedi cercano a tentoni degli appigli.

Ti sollevi e ti sposti verso la fessura laterale. Chiodi e ti metti in sicura.

Tira la corda mentre la carichi con il peso del tuo corpo.

Percepisci ogni centimetro di questo granito. Lo conosci come il tuo corpo. Sai che là, oltre il tuo sguardo, dopo quel camino, nel “salto della morte”, dove alcuni alpinisti sono volati, si erge il passaggio decisivo per conquistare questa nuova via. L’hai fotografata e studiata a tavolino mille volte.

Ora sei solo. In gioco, tu e la tua paura.

Le tue dita cercano anfratti di pietra.

Sei concentrato sui tuoi attimi.

Senti la roccia liscia, dove altre mani, prima di te, sono passate.

Percepisci tutta l’energia e la potenza di questa massa che punta verso il cielo.

Sali e ti assicuri.

Scalare è un’armonia tra il corpo e la mente. Una sinfonia di gesti. Un vuoto assoluto.

Hai progredito di un buon tratto su questo mastodonte di pietra testimone dello scorrere delle stagioni.

Stai combattendo la tua battaglia su questa parete.

Sei un essere umano, una vita fragile.

Fragile ma determinata.

Tiri di braccia e di gambe e continui a progredire su minuscoli appigli.

I chiodi e i moschettoni, che ballano appesi all’imbragatura, sono gli unici suoni che ti accompagnano.

Il terreno sotto di te si fa sempre più piccolo.

Ora c’è la grande crepa da superare.

La tua mano scivola percorrendo quel taglio sulla pietra. Le tue dita sono tentacoli in cerca di un appiglio. La tua mano percepisce l’irregolarità della superficie.

Sono quattro le dita che su quell’esigua lingua di roccia reggono l’intero tuo corpo sospeso.

Appeso alla tua mano ti sollevi e superi quel tratto. Ora hai un tetto sopra di te che ti copre la visuale.

Allenti la corda in sicura e cerchi un appiglio, anche minimo.

Un rilievo, piccolo, ma sufficiente ad ospitare la tua mano, è la risposta della parete.

Carichi il tuo corpo sulla mano.

All’improvviso ti senti proiettato all’indietro.

Stai volando, mentre il frammento di pietra dove un ‘istante prima appoggiavano le tue dita si è staccato. Lo senti rimbalzare sulla parete e precipitare a valle.

Tu lo segui.

Sei stupito, incredulo.

La tua parte razionale ti avverte che stai per morire.

Percepisci questa informazione con distacco.

L’adrenalina invade il tuo corpo. Incredibile, provi una strana sensazione d’euforia.

Ti senti leggero.

Stai volando.

L’azzurro del cielo si fissa nei tuoi occhi.

Lo strappo della corda è una frustata sul tuo corpo, che rimbalza e batte sulla parete, mentre il chiodo – il primo che hai piantato – si sfila dalla fessura.

Il secondo strappo della corda è minore ma ti toglie il respiro e ti capovolge a testa in giù.

La corda si sposta di fianco alla parete e tu pendoli nel vuoto.

Da quella posizione vedi che il secondo chiodo ha retto.

Non sai per quanto ancora.

Il peso dello zaino sembra centuplicato.

Il sangue sta affluendo nella tua testa.

Sei tutto dolorante. Ti senti svenire.

Devi sollevarti.

Annaspi con le mani in cerca di un appiglio.

Appoggi la mano contro la roccia e con il respiro corto e l’imbragatura che sembra uno strumento di tortura, riesci a riportarti lungo la verticale della corda.

Stringi una fettuccia tra i denti, avresti bisogno di tutte le mani della dea Kalì, mentre pianti un chiodo e poi assicuri la fettuccia al moschettone.

Ora sei stabile e sicuro.

Tiri un sospiro di sollievo mentre il tuo corpo è percorso da fitte di dolore e brividi.

E come un’onda la paura sale e ti sommerge. Sei in preda al panico.

Tremi. Sai che non puoi permetterlo, ne va della tua vita.

Le tue gambe sono gelatina, il tuo stomaco è un foglio di carta appallottolata.

Devi riprendere il controllo di te stesso, dei tuoi muscoli. Devi allontanare la paura.

Inizi a pensare… il pensiero è forza, è potere.

Controlli se sei ferito, quanti chiodi ti sono rimasti. Pensi a come fare per superare il tetto per ritrovarti sull’ultimo tratto di parete.

Le tue dita sanguinano dai graffi provocati dalla caduta. Hai il pollice destro sbucciato. Sei dolorante ma ancora intero, mentre la paura si sta lentamente trasformando in panico.

Sei abbracciato alla parete, con il piede di traverso su un piccolo appoggio. Una mano è stretta sulla fettuccia con il relativo moschettone agganciata al chiodo – la tua sicura -, l’altra mano tasta inutilmente la parete.

Sembri un geco.

Sei paralizzato, paralizzato ma vivo. Ancorato alla parete ne percepisci la sua massa, il senso di vuoto sotto di te, l’instabilità delle tue gambe, la mancanza di appigli.

Una risata isterica nasce e muore in gola.

Inizi a respirare in modo lento e regolare.

Fai il vuoto dentro di te.

Ora tu sei un osservatore esterno che guarda quel rocciatore.

Quel punto disegnato su una parete di roccia.

Cerchi degli appigli tastando la parete.

Li trovi. Sali.

Il tuo corpo riprende il ritmo. Superi il tetto di roccia, progredisci con regolarità. Ti senti presente sui tuoi movimenti e lontano dalle tue emozioni. Il vuoto dentro di te è diventato il motore pulsante dei tuoi gesti. L’ultimo tratto di parete termina senza che tu, concentrato come sei, non te ne renda nemmeno conto. Ora sei in cima al pilone di roccia. La via è tracciata, la paura allontanata, relegata in un luogo remoto.

Al pensiero, provi un’istante di tenerezza.

Poi sorridi, l’orizzonte, luminoso, sorride insieme a te.

Published by carlogabbiwriter

Italian born, and living in Australia. I'm writing for the past 15 years in both Italian and English language. I pubblished my first book in USA and it's available with Amazon. I also wrote several long stories which are grouped under the name "A song of Love" and several other works available in my blog in Rosso Venexiano.

One thought on “Rinaldo Ambrosia ha scritto per noi

  1. Caro Rinaldo, sono in parete assieme a te… con te provo e vivo le tue stesse paure, ma poi cosa mai e` nai la vita? perche` mai non giocarla per sentire l’adrenalina salire al tuo cervello, e inebriarti, Si, ci vuole tenacia,,, si ci vuole temerareita` e concetrazione, mentale e fisica per superare quel tetto… quello stesso che nel passato ha voluto la morte di altri coraggiosi… ma loro non sono siuti riusciti e hanno pagato con la loro vita…
    Un ultimo sforzo, un ultimo coraggioso sforzo sovra umano e poi, finalmente la cima e` raggiunta.
    Ciao e grazie di questo tuo scritto, un vero omaggio all’alpinismo!

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